La “Variante Veientana” della Via Francigena (secoli V-XIII)
L’Agro Veientano nel Medioevo
Articolo a cura di Michele Damiani, archeologo
Quando nel 2010 è stato istituito il percorso della moderna Via Francigena, tracciato turistico devozionale che conduce a Roma dall’Europa centrale, avevo già ragionato sulle fasi dell’incastellamento nell’Agro veientano, definendo la presenza di alcuni siti “precoci”, databili tra VIII e IX secolo e legati all’impianto della Domusculta Capracorum (fattoria papale di enorme estensione che aveva il suo fulcro nella chiesa di S. Pietro in Capracozio) e altri “regolari” databili tra X e XI secolo.
Questi erano per me a loro volta suddivisi in “privati, cioè fondati da nobilotti locali che volevano condurre con se intere famiglie di contadini che ancora abitavano in villaggi poveri, e “monastici”, fondati cioè da importanti monasteri romani, proprietari di terre intorno all’antica Veio: come fossero diffusi nello spazio del territorio veientano ancora non era chiaro, e cercavo una connessione tra di essi.
Quello che appariva chiaro erano le tempistiche: appena fondati i centri più grandi (Formello e Isola), quelli più piccoli finirono sotto il loro controllo, in un gioco di forze tutto legato ai rapporti tra Chiesa e chiese.
Poi l’istituzione della Via Francigena generò in me una critica costruttiva: non si può scrivere a tavolino una strada senza ricostruire dove passasse veramente quella antica!
Sono partito dunque dall’analisi della Via Cassia, che sembrava il percorso ufficiale antico, e delle sue caratteristiche francigene nel tratto laziale e, nell’ultimo tratto analizzato, proprio quello veientano, non sono riuscito ad individuare molte informazioni, direi praticamente nessuna, lasciando una lacuna che, per appartenenza, mi sono sentito in dovere di provare a riempire.
Il territorio dell’antica Città di Veio, ormai dominato e colonizzato dai romani, nella metà del II secolo a.C. venne solcato dal tracciato consolare della Via Cassia: questa, concepita probabilmente come strada di lunga percorrenza verso il cuore dell’Etruria, non passava da Veio, ormai pseudo abbandonata, e razionalizzava alcuni tratti della viabilità precedente.
La Via Cassia nella Valle di Baccano, Campagnano di Roma
In prossimità della Città, una a N ed una a S vennero poi, nel I secolo d.C., impiantate due mansiones, stazioni di posta lungo il percorso, una al IX miglio (ad nonas, all’incrocio tra Cassia e Clodia, e non lontano dalla confluenza con la Trionfale) e una al XXI (baccanae, all’incrocio con la Via Amerina), e lo sfruttamento di queste due strutture per i primi secoli dell’impero è certificato dalla continuità di vita nei materiali e nelle testimonianze storiche: a partire dal IV secolo entrambe, nei loro pressi, ospitano strutture funerarie cristiane (Baccano anche una Basilica Martiriale dedicata al Vescovo Alessandro) a dimostrazione di un’affermazione nel territorio del nuovo culto cristiano ma anche di quanto questo andasse ormai per la maggiore anche per i viaggiatori.
Complici alcune vicende climatiche e naturali, e l’abbandono della cura del Lago di Baccano la mansio di Baccano venne trascurata in favore del nascente Burgus Baccani (noto solamente da fonti del XI secolo) e mai analizzato archeologicamente, se si escludono alcuni sporadici rinvenimenti paleocristiani; stessa sorte per ad nonas e le sue catacombe, il cui ruolo, spostato poco a N lungo la Cassia durante la tarda antichità e l’alto medioevo, venne ereditato dal borgo di S. Giovanni in nono, e poi da “La Storta”.
Nel mezzo nessun rinvenimento degno di nota tra V e XII secolo su un percorso di 18 km.
Sappiamo però che le due località furono sempre considerate tappe del cammino da e per Roma lungo la Cassia, e sono molte le fonti in merito, tutte note e già più volte citate come quella di Sigerico del 990, dato che si contrappone fortemente con quelli delle altre tappe laziali del cammino, brulicanti di edicole e tituli, di castelli e di monasteri.
Nel IV secolo la comunità cristiana veientana si dotò di un altro luogo di sepoltura, quello della Catacomba di Monte Stallone, e chi la utilizzava aveva, per ragioni sociali, religiose ed economiche, un rapporto diretto con la viabilità principale e dunque con le due mansiones: questo percorso, che continuava a collegare alla Cassia le falde meridionali di Monte Aguzzo, ricche di rinvenimenti per i quali attraverso la ricerca stiamo abbassando la cronologia almeno fino al V secolo (dal III secondo le ricognizioni inglesi), potrebbe essere stato preferito dalla popolazione locale durante le invasioni gote e durante il successivo abbandono del tratto di Via Cassia.
Un lungo silenzio nella documentazione, interrotto solo dalla citazione dell’anno 700 circa di Veio (Beios) da parte dell’Anonimo Ravennate tra le tappe già menzionate (quindi un’indicazione di come Veio, ricordata dal cosmografo, fosse da considerare di nuovo un punto di passaggio) ci conduce alla fondazione della Chiesa di S. Pietro della Domusculta Capracorum, inaugurata nel 780 alla presenza di tutta la Curia Romana, mobilitata per l’occasione da Papa Adriano I.
La Chiesa si trova esattamente presso un incrocio, tra la via delle catacombe di IV secolo e una strada di origini molto antiche, collegava la zona di Monte Aguzzo con la Valle del Tevere, e la Flaminia, a Prima Porta, l’attuale Via di Santa Cornelia.
L’elemento più interessante di tutta questa ricerca risiede in questa fondazione e in questo tratto di tracciato, che oggi è percorso da migliaia di pellegrini ogni anno!
Inizialmente fui portato a pensare che fu la fondazione della Chiesa (posita in Territurio Vegentano) a deviare la via, ma poi mi resi conto che Adriano I non fece altro che appropriarsi di un percorso che sarebbe stato, di li a poco, invaso pacificamente da pellegrini franchi (dopo la conquista di Pavia, sempre nel 774), portando un’anticipazione lungo il percorso della gloria di Roma, riutilizzando marmi antichi e trasportandovi le spoglie e le reliquie di 4 papi della prima cristianità, tra cui quelle dello stesso Pietro: per i pellegrini era irrinunciabile “farci un salto”!
Di questo stesso periodo poi sono due insediamenti che mi hanno chiarito tutta la faccenda, Ponte S. Silvestro e Ponte Veneno.
Se per il primo, un titulus o parrocchia che da il nome ad un ponte che ancora attraversa il Cremera nella valle del Sorbo, abbiamo poche notizie e sporadici rinvenimenti che possiamo adattare all’VIII-IX secolo, per il secondo, sono riuscito non solo a ricostruire una fase altomedievale dalla documentazione degli scavi di inizio ‘900, ma anche ad ipotizzare il nome di Ponte Veneno, nome che rimaneva tra le pieghe della documentazione storica, associato alle pertinenze di Isola Farnese, e si tratta dell’insediamento altomedievale di Veio-Piazza d’Armi.
Questi due insediamenti richiamano direttamente l’idea di un attraversamento del Cremera, connessi alla viabilità che conduceva dalle due stazioni di posta alla S. Pietro Veientana, e mi piace pensare, in assenza di fonti certe, che fu in questo momento che il Cremera in questo tratto mutò il nome in Valchetta, indicando che la sua natura adesso fosse quella di essere attraversato, quasi come se il tracciato conducesse ad un luogo più sicuro dietro alle sue ripide sponde.
Le vicende del IX e dell’inizio del X secolo ci portano in scenari ancora critici, con alcune destabilizzazioni interne al governo papale e le invasioni saracene che determinarono un significativo black out nel sistema delle domuscultae, e Capracorum non fece eccezione, anzi forse subì un assalto diretto, stando ad alcune tracce di distruzione e abbandono rinvenute negli scavi inglesi degli anni ’60.
La popolazione che, tranne sporadici casi, ancora viveva sparsa nelle campagne, venne radunata dalla piccola ma influente nobiltà locale in piccoli castelli, spesso manieri o fortificazioni che avevano una chiesa e un abitato povero (tuguri, grotte, e poco altro), e poi, successivamente, da più organizzati monasteri (S. Paolo Fuori le Mura e SS. Cosma e Damiano) che fondarono insediamenti più grandi, rispettivamente il Castrum Formelli e Insula de Agella alla fine del X secolo, quasi in concomitanza con il passaggio di Sigerico, proprio lungo quella strada che ormai era probabilmente, da considerarsi quella principale.
Forse è possibile che la Cassia fosse ancora percorsa, ma da chi avesse davvero molta fretta!
Sono note quattro torri del XII secolo su questo tratto di strada, due a N e due a S, le prime due a controllo dell’ingresso alla valle del Sorbo dalla Cassia, e due all’ingresso sulla stessa consolare dalla Variante Veientana presso La Storta e La Giustiniana (incroci Cassia-Braccianese e Cassia-Trionfale).
Pellegrina Spagnola in viaggio verso Roma e legata al Castello di Grottefranca: ella, rapita dal Castellano, il Cretese Cretonis, venne segregata, e forse anche seviziata, ma le sue preghiere alla Madonna le valsero la salvezza sotto forma di un Angelo che non solo la liberò, ma invocando un fulmine abbattè repentinamente il castello.
Sono leggende, per di più molto antiche e giunteci di seconda o terza mano, ma nascondono molte verità, come quella dell’abbandono repentino dei piccoli siti, entrati subito sotto l’influenza dei castra maggiori e delle loro pievi, proprio a vantaggio di questi ultimi: negli ultimi anni del XIII secolo gli Orsini poi fecero il loro prepotente ingresso nel territorio Veientano e, il caso di Formello è più noto da scavi e ricerche, ampliarono i borghi maggiori, forse volutamente spopolando e disarmando le difese dei piccoli castra, che potevano costituire luoghi di minaccia fortificata per nemici che si avvicinassero.
Quasi in concomitanza di questa dinamica ci fu un evento che cambiò nuovamente le sorti di questo tratto di via: il Primo Grande Giubileo indetto da Bonifacio VIII del 1300.
Dante Alighieri lo visse in prima persona, quasi sicuramente per aver intrapreso come moltissimi il cammino in quell’anno, e ne rimase impressionato a tal punto che è noto che il suo viaggio, ambientato proprio tra il Venerdì Santo e la Pasqua del 1300, non sia altro che un cammino diverso, anche critico se vogliamo, rispetto alle masse che si misero in moto (non a caso appena può il Sommo Poeta descrive i dannati e gli ospiti del Purgatorio sempre in fila, come i pellegrini che giungevano a Roma per lavarsi la coscienza!).
In quell’occasione, o comunque a partire da quella, la Via Cassia sembra rivitalizzata, con la nascita di nuove osterie, alberghi e luoghi di sosta: nel nostro tratto se ne contano almeno cinque che possono essere fatte risalire al XIV secolo.
Il territorio Veientano tornò così ad essere marginale rispetto ai grandi flussi e forse, complice la Peste Nera di metà ‘300, subì una battuta d’arresto demografica, con la popolazione che si concentrò nei centri di Formello e di Isola, ben dominati dagli Orsini, che misero a grano tutto il territorio, ed in questo momento vengono realizzate le mole di Formello e di Isola, imponendo le loro leggi feudali su un’area che forse aveva visto passare i più grandi, da Carlo Magno a Federico Barbarossa, da Sigerico a Dante stesso, e tutti gli altri, Papi, servi, vassalli, crociati, preti scalzi e semplici fedeli.
Le tracce rimaste nella documentazione sono nulle, in parte per la quasi totale assenza di documenti per Formello fino alla metà del XVI secolo, in parte per l’assenza di informazioni di carattere toponomastico, tutte legate al lavoro nei campi e ad una serena vita di oppressione feudale.
Per questo mi astengo dall’affermare con certezza che questo fosse il tracciato ufficiale, rimanendo cautamente sulla considerazione di una variante breve, cioè tra due tappe consecutive, al percorso ufficiale, anche se un piccolo appiglio me lo dedico quasi personalmente: nel borgo di Formello, nella parte più antica dell’abitato vero e proprio, vi è la Chiesa di S. Michele Arcangelo, il cui impianto sembra essere di XII secolo, ma che stando ai documenti era censita a Formello già dai primi anni dell’XI, e che porta nel nome una delle mete fondamentali del cammino, quel S. Michele Arcangelo e il suo Santuario Garganico in Puglia al tempo stesso méta e nuova partenza, per la Terra Santa.
Oggi, dopo anni di abbandono, la Chiesa è stata “adottata” dall’Archeoclub di Formello che ha messo in piedi un sistema virtuoso di raccolta fondi grazie al quale, in accordo con tutti gli enti coinvolti, sta riportando alla luce tutto il repertorio di affreschi quattrocenteschi, meravigliosi, anche se un po’ tardi per i miei gusti, ed infatti spero sempre che il bisturi del restauratore distratto faccia un piccolo danno, ma ci permetta di rivedere le storie che potevano essere impresse su quei muri che ospitarono per tre secoli le preghiere del popolo formellese, ma anche di crociati e pellegrini.
[Fonte: Sito web dell’Associazione Amici del Museo dell’Agro Veientano]